Gracias por todo, Rafa. Nadal dice addio al tennis
Addio alla pelle d’oca che ti rabbrividiva quando il suo nome veniva annunciato all’ingresso in campo.
Non ci sarà più un’uscita dal tunnel del mastodontico “Rafaeeel Nadaaal” e nessuna ovazione ad accompagnare la breve sfilata per raggiungere la panchina, magari quella dello Philippe Chatrier di Parigi.
Il toro maiorchino ha finalmente fatto pace con sé stesso e, dopo uno strappalacrime video pubblicato sui suoi canali social (ormai funziona così) Rafa ha giocato la sua ultima partita ufficiale.
È sceso in campo con (e per) la bandiera bicolore orgogliosamente cucita sul petto, con l’immancabile fascia in fronte anche se l’ormai poco fluente chioma, quella che un tempo gli nascondeva gli occhi mentre mordeva le orecchie di qualche coppa, non dà più problemi alla vista.
Un addio sofferto
Difficilissimo dare l’addio all’amata racchetta e a quell’agonismo che tanto lo ha caratterizzato in campo. Un saluto che forse sarebbe stato più onorevole per lui se l’avesse dato già nel 2022 quando, con le unghie e con i denti, sicuramente senza un piede, vinse il suo 14esimo Roland Garros, ultimo titolo della carriera, con un netto 63 63 60 ai danni di Casper Ruud.
Quell’occasione fu testimonianza dell’estrema caparbietà di Rafa, del suo animo lottatore e del suo tennis vincente, nonostante gli evidenti problemi fisici che attanagliavano la sua salute. Sarebbe stato un addio dal gradino più alto, dalla vetta del suo record irraggiungibile sulla terra rossa.
UNA APARABOLA DISCENDENTE
Il 6 giugno, giorno dopo la vittoria, era previsto il classico photo-shooting con la Coppa al Ponte Alessandro III, la Tour Eiffel sullo sfondo. Rafa era in condizioni a dir poco pietose: zoppo completamente, con il sorriso che si alternava a smorfie difficili da contenere. Da quel momento il buon Nadal è entrato in quella parabola discendente che solo chi è stato un mostro sacro di uno sport sa cosa voler dire affrontare.
A Barcellona, a maggio, è riuscito a vincere un turno contro un emozionatissimo Flavio Cobolli, per poi esser decisamente preso a pallate da De Minaur. L’uscita di campo è stata però uno spettacolo da commuoversi. Applausi così scroscianti che tutta la Catalogna li avrà certamente sentiti.
A Madrid Rafa ha accettato l’addio riservatogli dall’organizzazione, dopo aver perso al quarto turno per mano di Lehecka, tra striscioni enormi e la Caja Magica stracolma di tifosi. Cosa che è tutt’altro che avvenuta agli Internazionali a Roma dove, visivamente molto scocciato, Nadal se n’è andato lasciando la targa a prender terra rossa, affermando che l’anno prossimo non è detto che non si ripresenti in campo.
IL SIPARIO SI CHIUDE
Ma esiste il modo perfetto per concludere la propria carriera sportiva? Un momento esatto in cui l’atleta, come un attore su un palcoscenico, sa quando lo spettacolo è finito ed è il momento di prendersi gli applausi alla chiusura del sipario?
Come fa un atleta, un tennista di quella caratura, a discernere totalmente mente e corpo e comprendere che uno di questi prevale sull’altro senza ritorno? E si può biasimare uno come Nadal, in fin dei conti?
Rafa il sangue caldo ce l’ha ancora. Si è visto dagli occhi arrossati quando, a Malaga, ha sentito risuonare l’inno spagnolo. È sceso in campo, ha perso con un doppio 64, ha esultato, ha lottato. Ha concluso la propria carriera così come ha esordito in Davis: con una sconfitta (e quella volta, ironia della sorte, perse contro Novák…non Djokovic, bensì Jiří, della Repubblica Ceca).
Alcaraz alle NITTO ATP Finals di Torino aveva dichiarato di essere orgoglioso di essere a fianco di Nadal in quest’occasione e che il suo obiettivo era quello di fargli alzare la Coppa, facendogli rivivere, a lui ed alla Spagna, un momento speciale come quello del 2019.
Ma il finale perfetto non esiste. Magari un po’ tutti si aspettavano un ‘dulcis-in-fundo’, con il “GRACIAS RAFA” che avvolge in uno striscione il Palacio de Deportes di Málaga, con una valenza maggiore…o un addio da dare alla chiusura di un evento, anziché all’apertura.
Resta il fatto che l’era potente e prepotente dei Big Three (o dei Fab Four) è praticamente finita ed anche noi, come Nadal, dobbiamo abituarci all’idea di non rabbrividire più all’ingresso in campo di “Rafaeeel Nadaaal!”.