Come si diventa Coach Loner
Paolo Loner mental coach per vocazione. La sua vita a disposizione di giovani atleti, non necessariamente futuri campioni, ma sicuramente persone che grazie allo sport stanno arricchendo la loro esistenza. “Magari avessi avuto da piccolo qualcuno che mi avesse insegnato come comportarmi in alcuni momenti difficili.” Un po’ come un allenatore di calcio che da giovane ha giocato bene, ma senza eccellere e che di conseguenza ha dovuto faticare di più di chi invece aveva un talento innato. Ma che ha registrato tutto il vissuto e fatto tesoro di ogni dettaglio per poi insegnare agli altri come si deve fare per arrivare al risultato.
LE RADICI
Il Loner mental coach fonda le sue radici proprio nella vita di piccolo atleta in Alto Adige. Diviso tra le sue montagne ed i genitori immersi in un lavoro imprenditoriale che li ha tenuti occupati 6 giorni su 7, con il settimo dedicato all’ordine della propria casa. E Paolo che resta da solo insieme ai suoi ‘baby sitter’, così gli piace chiamarli, il tennis e lo sci, che lo hanno tenuto impegnato in assenza dei suoi.
Andiamo indietro nel tempo, fino agli anni 70. “Era il 1974, avevo 8 anni quando i miei genitori si misero a gestire una piccola attività (una lavanderia, ndr) che diventò tutta la loro vita. Mio papà mi caricava in macchina e mi portava o a sciare o a giocare a tennis, dipendeva dalla stagione.”
Due sport individuali. “Ed entrambi difficili da gestire, almeno per me. Lo sci oltretutto mi faceva anche tanta paura mentre il tennis era a dir poco stressante. Mi creava ansia da prestazione. Se ripenso agli allenatori che ho avuto nello sci c’è da farsi venire i capelli bianchi.”
Prosegue Paolo. “‘Scendete lungo la pista, allenatevi.’ Questo era il loro insegnamento. Io ero secco, magrissimo, lungo e leggero e senza alcuna preparazione specifica, e loro ti dicevano di andare giù dritto per le piste. Si faceva libera o slalom in modo indistinto. Mancava una vera guida tecnica, figurarsi se ci poteva essere qualcuno che sapesse affiancarti anche dal lato mentale.” Racconta Loner senza rancori. “Avevo 14 anni quando incominciai a prendere in considerazione di mollare un po’ tutto.”
Prosegue Paolo. “‘Scendete lungo la pista, allenatevi.’ Questo era il loro insegnamento. Io ero secco, magrissimo, lungo e leggero e senza alcuna preparazione specifica, e loro ti dicevano di andare giù dritto per le piste. Si faceva libera o slalom in modo indistinto. Mancava una vera guida tecnica, figurarsi se ci poteva essere qualcuno che sapesse affiancarti anche dal lato mentale.” Racconta Loner senza rancori. “Avevo 14 anni quando incominciai a prendere in considerazione di mollare un po’ tutto.”
Fu però un incidente sugli sci ad accelerare questa scelta.
“Cado durante le prove di una discesa libera. Si trattava di un allenamento senza riferimenti (pali), se non la sola pista di sci. Batto la testa, non sto per niente bene. Decidono di portarmi semplicemente in un bar ad aspettare che gli altri miei compagni finissero l’allenamento. Poi tutti in funivia, ed io con quella botta in testa a dover prendere da solo l’autobus per ritornare a casa e coricarmi sul letto, in attesa che tornasse mio padre. Quando arrivò chiamò subito il pronto soccorso. Dissero ‘Non farlo addormentare, potrebbe essere pericoloso’. Recuperai da quell’incidente, ma decisi di eliminare lo sci dalla mia vita.”
Ed Il tennis? “Fece la stessa fine da lì a poco. Non reggevo la fatica, soprattutto mentale.”
LONER MENTAL COACH
Paolo si sofferma a parlare della non causalità di certi incidenti. “Se un’atleta è ‘on fire’, allora stai tranquillo che tutto gli girerà nel verso giusto: davvero difficile che si possa fare male. La concentrazione, il focus è al massimo, tutto è sotto controllo. In caso contrario è invece molto probabile che non te ne vada bene nemmeno una. Così capitò anche a me.
Eliminato lo sci mi era rimasto soltanto il tennis, il mio secondo baby sitter. Ai tempi non avevo approfondito perché soffrissi così tanto. E alla fine fu un altro incidente a decretare la fine del tennis. Ma questa volta non sul campo, bensì in moto.
Un’altra volta eccomi di nuovo in ospedale. Tutto sembrava procedere normalmente, ma in realtà qualcosa non quadrava e mio padre se ne accorse. Quella sera, ormai a mezzanotte, volle, grazie al cielo, ritornare in ospedale. Mi ha salvato, quasi senza accorgersene, mi stava andando in cancrena la gamba. Ci ho messo più di un anno per tornare a camminare e poi a correre.“
LO SPORT DI SQUADRA COME EDUCATORE: ARRIVA IL FOOTBALL AMERICANO
Continua Loner nel racconto. Dal ragazzino, Paolo parla ora di un uomo. “Il tempo degli sport individuali era finito da un pezzo, ma non era certo il momento di mollare lo sport. Decisi così di seguire la moda del momento, quella del football americano. A Merano era nata una squadra, denominata Bears che giocava in serie B. Per uno come me, che da bagnato pesava 60 chili, poteva forse non essere l’ideale, ma io, malgrado tutto, volevo cimentarmi in quello sport di contatto. Tutto materiale utile per un ipotetico mental coach di cui avrei avuto ai tempi un bisogno pazzesco.”
“E così ho imparato il significato di essere leader a soli 18 anni di una squadra di gente over 30. Devi farti vedere sicuro delle scelte che fai, devi meritarti la fiducia dei tuoi compagni. Non avevo competenze specifiche ma tanta voglia di imparare e di impegnarmi. Il football americano fu una delle soddisfazioni più grandi della mia vita.”
Il cambio di vita di Paolo è segnato da una linea netta: se lo sci ed il tennis erano stati per lui due baby sitter, ora il football lo definisce un educatore di vita. Sport individuale da un lato, sport di squadra dall’altro.
“Tutte le problematiche che avevo le diluii nelle dinamiche di gruppo, continuando a correre per anni. Smisi di giocare a 30 anni con l’assoluta certezza che lo sport doveva continuare a far parte della mia vita: fu così che mi avvicinai al mondo del coaching.
Ho preso tanti pali ed alla fine qualcosa ho imparato. Lo sport che ti insegna a vivere. Basta che penso alle sofferenze degli sport individuali a tutto ciò che ho subíto, accantonato e non affrontato, ma poi capito. E poi lo sport di squadra e tutte quelle gerarchie da imparare quando fai parte di un gruppo, il vincere e perdere insieme. Tutto è diventato tesoro prezioso per quella che è diventata la mia vocazione della vita: essere un mental coach.”
INTEGRITÀ E TRASPARENZA
È questa versione di Paolo Loner che conosciamo. Una persona autentica, autorevole, capace di dire quello che serve al momento giusto ad un amico e ad un atleta. Così come si comporta nella sua vita lavorativa, Paolo lo è nel quotidiano.
La sua integrità e trasparenza sono a volte disarmanti, ma sono esattamente quello che serve per creare la perfetta empatia che deve esistere tra un atleta ed il proprio coach, tecnico o mentale che sia. “L’atleta è spesso lì a lottare da solo con i suoi demoni, come facevo io da ragazzo.”
L’ESEMPIO DI CECILIA
Cecilia, quando si intestardisce diventa una ragazza difficile da affrontare, quasi inamovibile. Se si è fatta un’idea del perché è andata male una sua gara, è faticoso a darle una chiave di lettura diversa da quella che lei si è fatta. “Devi spettinarla! Quante volte cci siamo confrontati con Peter, il suo allenatore:”Falle capire che sei certo di quello che le dici, sii deciso. Usa pure una buona enfasi nel comunicarglielo, ma se serve dillo anche in modo pesante: vedrai che Cecilia si appoggerà sulla tua fermezza. Ci rifletterà e ti darà ascolto.’”
La vita è bizzarra e ti ripropone a distanza di tempo situazioni già vissute.
Cecilia è una sciatrice.
Sì, si parla di quel baby sitter del giovane Loner che ha scampato un trauma proprio per una discesa in velocità. Ed anche il tennis è tornato ad essere tra i principali sport seguiti da Coach Loner. “Ho avuto a che fare con diversi tennisti seguendo anche dei bravissimi coach. Le difficoltà del tennis le conosco e le riconosco.”
Sì, si parla di quel baby sitter del giovane Loner che ha scampato un trauma proprio per una discesa in velocità. Ed anche il tennis è tornato ad essere tra i principali sport seguiti da Coach Loner. “Ho avuto a che fare con diversi tennisti seguendo anche dei bravissimi coach. Le difficoltà del tennis le conosco e le riconosco.”
Ma come fai a capire quali sono le aree di miglioramento di un atleta che segui? “Per me è fondamentale osservare come gli atleti si rapportano con la preparazione fisica. Nel tempo ho notato che la forza mentale va spesso di pari passo con quella fisica. Non esagero nel dire che, osservando i giovani in quel tipo di allenamento, normalmente mi bastano pochi minuti di osservazione della loro sessione di allenamento fisico per capire tante cose della loro performance in gara, del loro rapporto con lo sport e con l’allenatore e decidere se incominciare a lavorarci insieme.”
L’EMPATIA ALLA BASE DELLA RELAZIONE TRA ATLETA E COACH
“Non prometto mai a nessuno che diventerà un campione. Semplicemente alcune problematiche sono risolvibili, non si può poi nemmeno dire in quanto tempo. Ma sicuramente più stimoli si generano nell’atleta e più si potrebbe accelerare il percorso per la soluzione dei problemi.
L’atleta percepisce l’empatia che nasce che diventa la conseguenza di questo agire. Ecco allora che ha inizio un bel percorso da fare insieme. E che resterà nella vita, oltre al risultato sportivo. Questo è il bello del mio lavoro. Difficile, intenso, che però fa crescere non solo l’atleta ma anche l’allenatore.”
Da Merano la vita ha portato Paolo in Lombardia a Pavia, presto diventata sede operativa, oltre che casa.
“Dalla montagna alla città quante cose cambiano. Ora non sono più il figlio della lavanderia come venivo chiamato da ragazzo. Cambiando città mi sono sentito maggiormente libero di esprimere me stesso. Di perseguire un sogno che sto sviluppando. Il progetto Sport4life è nato da esperienze di vita in ambito sportivo e scolastico. E presto avrà anche una sua casa. Mattone dopo mattone stiamo per costruire un centro di allenamento e coaching per lo sport. Quando sarà pronto, diventerà un’altra bella storia da raccontare.”
Tutto è nato dalla passione per lo sport e da quelle difficoltà affrontate da giovane. Paolo ha un modo di raccontare la sua esperienza di vita molto coinvolgente. Rdosport è entrato a far parte di questo progetto proprio grazie a questa genuinità riconoscibile in Sport4Life e non poteva che essere altrimenti. La passione per lo sport che va oltre ad ogni stereotipo.
Non si deve necessariamente ambire a diventare un campione assoluto per rivolgersi a Paolo, ma piuttosto il volere mettersi in gioco considerando al centro la persona e tutti i suoi sistemi: scuola, sport, famiglia.
“Ogni giorno imparo dai miei allievi tante cose. E questo mi sta rendendo davvero bella e interessante la mia vita.”
Un sogno che è diventato realtà per Paolo Loner; quando la fermezza, la volontà e anche la testardaggine portano ad un risultato.