
IL RUGBY, UN GIOCO DA FAVOLA
di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)
“Questa pietra commemora l’impresa di William Webb Ellis che, con squisita indifferenza per le regole del calcio dell’epoca, prese la palla tra le braccia e si mise a correre, dando così origine alla peculiare caratteristica del gioco del rugby.”
Così recita una lastra, affissa nel college di Rugby, un piccolo centro della contea del Warwickshire in Inghilterra, in onore di un gesto rivoluzionario che diede l’avvio ad un nuovo sport.
LA MITICA ORIGINE DEL RUGBY
Il 1 novembre 1823, in un grigio pomeriggio invernale, i ragazzi della Scuola Pubblica stavano disputando una partita di un gioco dalle origini molto antiche, chiamato genericamente football.
I toni dello scontro si fecero subito accesi: sconfiggere l’avversario era l’obiettivo principale. Nel corso di un’azione particolarmente agguerrita, un ragazzo, in barba alla tradizione, afferrò con le mani la palla che era finita a terra e corse verso la linea di marcatura della squadra avversaria.
Un comportamento al momento giudicato antisportivo, ma che servì per delineare i confini, ancora molto confusi, tra calcio e rugby. Da quel momento il gioco che prevedeva l’impiego degli arti inferiori prese il nome di football e l’altro di rugby, in onore della cittadina che gli aveva dato i natali.
Un’origine favolosa, certamente non veritiera, ma utile per ammantare questa disciplina di un’aurea leggendaria.

Una touche durante il match tra Toulouse- Wasps di Champions league del 15-12-18 (© foto di Roberto Dell’Olivo)
IL RUGBY IN FRANCIA
Praticato nelle public schools dell’aristocrazia inglese, il rugby si diffuse dapprima nei territori dell’impero britannico, per poi affermarsi anche nel resto del mondo.
La Francia fu una tra le prime nazioni della Vecchia Europa a recepire lo sport della palla ovale grazie ad alcuni espatriati inglesi che, nel 1872, fondarono a Le Havre un club d’oltremanica, “Le Havre Athletic Club”.
In seguito, tra il 1882 ed il 1883, sorsero a Parigi le due squadre francesi più celebri: il “Racing Club de France” e lo “Stade Français”. Furono proprio queste due società a costituire qualche anno dopo la “Union des Sociétés Français de Sports Athletiques”, alla quale si deve il merito di aver dato l’avvio al Campionato Nazionale di rugby.

Francia Inghilterra, scontro a livello di club tra la cittadina francese del Toulouse tra le più forti in assoluto e le vespe inglesi del Wasps (©foto di Roberto Dell’Olivo)
Il 20 marzo 1892, sul terreno di “Plan de la Bagatelle”, un personaggio d’eccezione arbitrò la partita dell’edizione inaugurale del campionato: Pierre de Coubertin.
Fondatore dei moderni Giochi Olimpici, il barone de Coubertin contribuì a ricoprire il rugby di ideali pedagogici e di scopi educativi; nella sua visione lo sport aveva il compito di rigenerare e rafforzare la società francese uscita duramente sconfitta dalla guerra franco-prussiana. Rugby in Francia significava anche identità collettiva, orgoglio e volontà di ricostruzione.
Ai nostri “galletti” non rimaneva che dare vita ad una squadra nazionale in grado di rivaleggiare contro gli altezzosi paesi britannici, pronti a snobbare ogni altro stato che non facesse parte dell’Impero. E così il giorno di Capodanno del 1906 la Francia disputò il suo primo incontro ufficiale, ospitando al “Parc des Princes” la Nuova Zelanda nella tappa conclusiva del suo tour europeo. Fu una clamorosa disfatta: 38-8 in favore degli Originals, i padri dei mitici All Blacks.
Nonostante questo esordio non propriamente felice, il rugby continuò a crescere in terra transalpina, guadagnandosi un tale successo di pubblico da far sì che la Francia venisse inclusa nel torneo annuale delle Quattro Nazioni britanniche, che divenne così a Cinque Nazioni.
IL DIPINTO
Se in terra inglese il rugby era ad uso esclusivo delle élite aristocratiche, negli altri paesi il gioco prese piede tra le classi più disagiate come strumento di lotta sociale. In Francia, in particolare, il rugby rifletteva la perenne contrapposizione esistente tra i sobborghi rurali e una capitale ancorata ai fasti del suo passato, nonchè il desiderio di rivalsa delle periferie sul centralismo imposto da Parigi. Un deciso sussulto di fierezza rivendicante l’orgoglio di un popolo che rifiutava l’omologazione ad ogni costo.
Il rugby venne a configurarsi così come lo sport dei non-allineati, dei non-inclusi, e come tale fu oggetto di uno straordinario dipinto di Henri Rousseau, un artista che fece dell’esclusione la sua cifra esistenziale.
Nato nel 1884 a Laval da una famiglia di umili origini, Rousseau fu un autodidatta della pittura; ritenuto per lungo tempo un dilettante, un pittore della domenica, fu negletto dai circoli ufficiali e pesantemente deriso dai suoi colleghi. Morto povero e nemmeno troppo apprezzato, in seguito venne riconosciuto come il padre dell’avanguardia, il punto di partenza imprescindibile per costruire una nuova sintassi libera da imposizioni e costrizioni formali. Una fama postuma, come spesso accade alle personalità non conformi al loro tempo.
Ne “I giocatori di football”, quadro del 1908 custodito al Gugghenheim di New York, Rousseau ci restituisce l’immagine di una partita di rugby immaginaria, sospesa tra sogno e realtà.

Henri Rousseau – I giocatori di football 1908
In un parco di Parigi, che potrebbe essere il “Bois de Boulogne”, quattro figure con dei completini a righe si stanno contendendo una palla ovale. La scena sembra uscita da una fiaba, ambientata in qualunque e in nessun luogo, intuiamo essere la rappresentazione di un match di rugby solamente dal titolo del dipinto.
Non c’è animosità o violenza tra i giocatori, ma aleggia un’atmosfera di divertimento e di quieta fraternità, caratterististiche peculiari di questo sport.
Certamente Rousseau ebbe modo di assistere a qualche partita di questo nuovo gioco, divenuto in Francia oramai di moda, e quasi certamente ne fu piacevolmente colpito: un fantasioso tentativo di dipingere i tempi moderni con il suo inconfondibile stile naïfe.
Solo due anni dopo aver realizzato quest’opera, il 2 settembre 1910, Henri Rousseau si spense a Parigi, sopraffatto dai debiti. Le partecipazioni per il suo funerale giunsero in ritardo e la cerimonia si svolse in un desolato silenzio.
Nel 1912 per rendere giusto omaggio all’uomo e all’artista, Constantin Brâncuşi e Manule Ortiz de Zárate fecero incidere sulla sua pietra tombale questo epitaffio, scaturito dalla penna di Guillaume Apollinaire:
“Noi ti salutiamo gentile Rousseau, sappiamo che puoi sentirci. Lascia che i nostri bagagli attraversino i cancelli del Paradiso senza franchigia. Ti porteremo pennelli e tele, affinchè tu possa trascorrere il tuo sacro tempo libero nella luce e nella verità dei Cieli, dipingendo il volto delle stelle come quando dipingesti il mio ritratto.”