A PRANZO CON I CANOTTIERI
di Barbara Meletto
Agli albori dell’umanità venne inventato un attrezzo chiamato remo; i nostri antenati lo utilizzavano come leva per sospingere primordiali natanti, mai avrebbero immaginato che sarebbe stato impiegato a fini ludici o agonistici.
Da semplice pratica legata al mondo dei trasporti via acqua, il canottaggio si configurò così come uno sport, anzi lo sport per eccellenza, indispensabile per la formazione fisica e morale dei giovani. Fu l’Inghilterra vittoriana ad assurgere il canottaggio a disciplina ideale, emblema di fair play, virilità, self-governement, e spirito di competizione, essenziali alla formazione del perfetto gentleman.
Originatasi negli elitari club universitari inglesi, l’arte della voga si diffuse nel resto della società, per poi ricevere la sua consacrazione popolare entrando nel novero degli sport olimpici.
“L’atletismo moderno ha due tendenze sulle quali attiro la vostra attenzione: diviene democratico ed internazionale… La sana democrazia, il saggio e pacifico internazionalismo penetrano nel nuovo stadio e vi manterranno questo culto dell’onore e del disinteresse che permette all’atletismo di fare opera di perfezionamento morale e di pace sociale nel mentre fa opera di sviluppo muscolare.” (Pierre de Frédy barone di Coubertin, dal discorso pronunciato al primo congresso ufficiale per la ripresa dei Giochi olimpici, 1894)
IL CANOTAGGIO A PARIGI
Le prime società di canotaggio francese sorsero a Parigi attorno alla prima metà dell’Ottocento, con lo scopo di definire una pratica che si era imposta già da tempo.
Fin dai primi decenni del XIX secolo, infatti, un numero crescente di cittadini soleva dirottare la sua passeggiata domenicale sulle rive della Senna per fare un giro in barca. Ma il parigino non si accontentava di farsi accompagnare da un barcaiolo, egli desiderava padroneggiare il suo mezzo: prendeva forma un nuovo piacere, quello della navigazione.
Accanto alla dimensione sportiva della canoa, si affiancò un uso più dilettantesco, concepito come svago per una classe borghese in ascesa. La barca da diporto era un momento di pausa dalle fatiche della quotidianità, un modo per allontanarsi dalla congestione di una metropoli in pieno sviluppo industriale alla ricerca di un eden perduto.
Questo fenomeno non sfuggì al pennello degli impressionisti, i cantori della realtà contemporanea, analizzata in tutte le sue forme e in tutti i suoi aspetti: Parigi con i suoi boulevard, i suoi caffè, i suoi bistrot, i suoi teatri; lo splendore della campagna, o il fascino dei suoi corsi d’acqua.
IL DIPINTO, LA GENESI
A partire da giugno del 1880 Émile Zola pubblicò quattro articoli sul “Voltaire”, accusando gli impressionisti di incompletezza e di mancanza di stile: “essi non mantengono mai ciò che promettono, balbettano senza riuscire a parlare.” Lo scrittore francese, dopo l’iniziale appoggio dato alla nuova arte, ne metteva in luce i suoi limiti e l’incapacità di produrre un autentico capolavoro. In risposta a questa dura critica si levò la voce di Pierre-Auguste Renoir, dipingendo quello che è considerato uno dei suoi quadri più belli: “Le déjeuner des canotiers” (La colazione dei canottieri).
Nell’estate del 1881 Renoir, con l’aiuto del barone Raoul Barbier, raccolse un gruppo amici con la precisa intenzione di evocare l’atmosfera spensierata di una gita fuori porta. Il luogo prescelto per questa riunione fu l’Île de Chatou, meta di gran moda fra i parigini e amata da artisti ed intellettuali. Qui sorgeva la Maison Fournaise, ritrovo dei canottieri e posto abitualmente frequentato da Renoir. Costruito nel 1857 dal falegname Alphonse Fournaise, l’edificio era inizialmente adibito al noleggio delle barche, ma ben presto fu ampliato a ristorante e a piccolo hotel, divenendo uno dei ritrovi preferiti dei pittori impressionisti.
E così domenica dopo domenica, sulla terrazza della Maison Fournaise, quattordici personaggi si raccolsero attorno ad un tavolo per dare forma al dipinto che avrebbe immortalato un istante de la vie moderne, rendendolo eterno.
La graziosa ragazza in primo piano, con un cagnolino tra le mani, è Aline Charigot, una giovane sartina appena conosciuta da Renoir che in seguito diventerà sua moglie, nonchè la sua modella preferita. In piedi accanto a lei, appoggiato alla ringhiera, è ritratto Alphonse Fournaise jr, il figlio del proprietario del locale. Addetto al noleggio delle barche, il ragazzo è raffigurato con braccia vigorose, frutto di un intenso allenamento con i remi, ed indossa la classica divisa dei canottieri, una maglietta bianca ed un cappello. Sempre appoggiata alla balaustra troviamo la sorella di Alphonse, Alphonsie Fournaise, già ritratta in altre occasioni dal pittore francese, qui la vediamo impegnata in un gioco di sguardi con un uomo inquadrato di spalle, presumibilmente il barone Raoul Barbier.
Sulla destra Gustave Caillebotte, amico e collega di Renoir, è seduto accanto all’attrice Angèle Lagault a al giornalista italiano Antonio Maggiolo. Anche se, come il giovane Fournaise, esibisce l’abbigliamento dei canottieri, Caillebotte era in realtà appassionato di vela, sport che poteva facilmente praticare grazie alla sua ingente disponibiltà economica.
Al centro del quadro un’altra attrice, Ellen Andrée, riceve le attenzioni del pittore Marcellin Desboutin, mentre porta un calice alle labbra.
Sullo sfondo altri due gruppi di persone animano il banchetto: in uno si possono riconoscere l’attrice e musa di Renoir Jeanne Samary, circondata Pierre Lestringuez, detto l’ipnotizzatore per la sua attrazione verso l’occultismo, e dall’avventuriero e indomito rubacuori Paul Lhôte; nell’altro si staglia la figura del banchiere e collezionista d’arte Charles Ephrussi, immortalato di terga con un elegante cilindro nero, che sta amabilmente conversando con il poeta simbolista Jules Laforgue, all’epoca suo segretario personale.
Ci sono tutti, non manca proprio nessuno, una perfetta mescolanza di uomini e di donne appartenenti alla società galante parigina: artisti, imprenditori, intellettuali, accompagnati da attrici, modelle e amanti; un mondo completamente estraneo a quello dei comuni borghesi.
Un’atmosfera di gioiosa spensieratezza pervade tutta la composizione, che profuma di buon vino e risuona di allegri chiacchiericci.
Pare quasi di poter afferrare quei grappoli d’uva, di poter sentire il tintinnio dei cristalli, complici e partecipi di una scanzonata combriccola di amici. Fuori dalla porta di Parigi si apriva una realtà del tutto nuova e diversa che Renoir ha saputo catturare con insuperabile maestria: quella della giovinezza, del disordine e dell’avventura.
IL DIPINTO, LA STORIA
La tela di notevoli dimensioni (misura 1,3m X 1,73m) venne completata da Renoir nell’autunno del 1881, alla vigilia del suo viaggio in Italia, e fu esposta nel 1882, nella Galleria Durand-Ruel, in occasione della settima mostra degli impressionisti. L’accoglienza fu trionfale: la sfida con Zola era stata vinta.
“È fresca, disinvolta, ma non sconcia”, commentò Paul de Charry, altrettanto positiva fu l’opinione di Armand Silvestre che affermò: “Si tratta di uno dei dipinti più belli prodotti sotto l’egida di questa pittura insurrezionista di Artisti Indipendenti.”
Tutti ne furono conquistati, ma solo uno potè vantarne il possesso. Il dipinto venne subito acqusitato da Paul Durand-Ruel, il gallerista che aveva ospitato il vernissage, entrando a far parte della sua collezione privata. Dopo la sua morte, nel 1922, i figli misero in vendita l’opera che passò nellle mani di Duncan Phillips, allora proprietario della “Phillips Memorial Gallery di Washington”, oggi conosciuta come “The Phillips Collection”. Ed è ancora lì che possiamo ammirare Les déjeuner des canotiers, sicuramente il dipinto più apprezzato della raccolta, per la sua incredibile freschezza di esecuzione. Un quadro capace di trasportarci lontano nel tempo, nel tepore di un pomeriggio estivo, in una terrazza affacciata sul fiume, a consumare l’ebrezza della gioia di vivere.
“Per più di trent’anni ho fatto visite periodiche al museo di Washington per ammirare “La colazione dei canottieri” e stare in piedi ore e ore dinanzi quel magnifico dipinto, giorno dopo giorno, complottando sui modi per rubarlo.” (Edward G. Robinson)