Ma dove vai, Slovenia, in bicicletta? Al Tour E lo vinco
di Ilvio Vidovich
L’edizione 2020 del Tour de France ha parlato sloveno. La corsa a tappe francese – quest’anno slittata causa Covid-19 a settembre, rispetto alla tradizionale collocazione nel mese di luglio – ha visto infatti primeggiare due rappresentanti della piccola (due milioni di abitanti) nazione subalpina, Tadej Pogacar e Primoz Roglic.
Fino a quarantotto ore dal termine tutto faceva supporre che li avremmo elencati in ordine inverso, invece nella penultima tappa il giovanissimo Pogacar (ha compiuto ventidue anni lunedì, il secondo più giovane a conquistare la più prestigiosa gara a tappe del ciclismo mondiale dopo Henry Cornet, che ci riuscì, non ancora ventenne, nel 1904), ha fatto saltare il banco con una fantastica prestazione a cronometro, infliggendo quasi due minuti di distacco al suo connazionale e sfilandogli così la maglia gialla.
L’incredibile exploit di Pogacar, l’immagine in mondovisione di Roglic, esausto e deluso per la grande vittoria sfuggitagli proprio su quell’ultima salita verso La Planche des Belles Filles, e la sua sportività con il successivo abbraccio al suo connazionale, hanno fatto del penultimo atto della Grande Boucle 2020 una pagina che rimarrà negli annali della storia del ciclismo, rendendo perciò ancora più significativa la prima vittoria slovena nella manifestazione (ed anche il primo secondo posto, per una doppietta che arriva a otto anni di distanza da quella dei britannici Wiggins e Froome nel 2012).
L’abbraccio tra Pogacar e Roglic (fonte: Eurosport)
Chiariamo comunque che i risultati dei due in terra francese non sono stati una sorpresa, dato che già nell’ultima grande gara a tappe prima della pandemia, la Vuelta dello scorso anno, erano stati protagonisti. Certamente le luci della ribalta in quell’occasione erano state quasi tutte per Roglic, quarto al Tour l’anno prima e reduce da diversi risultati importanti in stagione (le vittorie alla Tirreno-Adriatico e al Giro di Romandia, il terzo posto al Giro d’Italia), che in Spagna aveva conquistato il primo posto in classifica generale e nella classifica a punti. E che alla soglia dei trent’anni (li avrebbe compiuti ad ottobre, dopo essersi regalato pochi settimane prima un altro paio di vittorie di prestigio in due classiche autunnali: il Giro dell’Emilia e le Tre Valli Varesine) sembrava aver finalmente raggiunto la piena consapevolezza dei suoi mezzi. Al riguardo c’è infatti da ricordare che il ciclista di Trbovlje si era affacciato al ciclismo professionistico tardi. A diciott’anni, l’età in cui – per capirci – Pogacar era all’ultimo anno da dilettante prima di decidere di passare “pro” con la UAE Team Emirates, il giovane Primoz vinceva la medaglia d’oro ai mondiali juniores nel salto con gli sci a squadre. Solo a 22 anni, insoddisfatto dei risultati ottenuti, decideva di appendere gli sci al chiodo e dedicarsi al ciclismo.
In Spagna, comunque, anche il suo giovanissimo connazionale non era stato da meno: terzo posto in classifica, maglia bianca di miglior giovane e tre vittorie di tappa. E un dato non statistico non banale, soprattutto se riletto oggi: primo ventenne sul podio di una grande corsa a tappe da “Gibì” Baronchelli nel 1974, quando il giovanissimo ciclista bergamasco concluse al secondo posto, a soli 12 secondi dal grande Eddy Merckx, e davanti ad una leggenda del ciclismo italiano, Felice Gimondi. Oggi infatti quel dato assume un altro significato, quasi fosse stato un avvertimento, con il talento di Komenda entrato a far parte dell’esclusivo elenco dei debuttanti vincitori del Tour. Un elenco che dal 1945, peraltro, era composto solo da nomi che hanno fatto la storia del ciclismo: Robic, Coppi, Koblet, Anquetil, Gimondi, Merckxx, Hinault e Fignon.
Ok la Vuelta, ma inutile dire che il Tour è il Tour, ed i primi due gradini del podio nella Grande Boucle di Pogacar e Roglic rappresentano a tutti gli effetti il coronamento di un lungo percorso per il movimento ciclistico sloveno. Un movimento storicamente sempre molto attivo, a partire già dagli anni Trenta, ma che solo dopo il dissolvimento della Jugoslavia e la conseguente possibilità di passare al professionismo, ha visto gli atleti sloveni distinguersi anche ai massimi livelli.
Fino alla fine degli anni Settanta, infatti, i ciclisti sloveni potevano gareggiare solo a livello dilettantistico. La situazione comincia a cambiare a partire dagli anni Ottanta, con i primi passaggi al professionismo. Ricorderemo di quel periodo nomi come Vinko Pogacar, il primo in assoluto a passare “pro”, Jure Pavlic, Bruno Bulic e soprattutto Primoz Cerin, primo sloveno a partecipare al Tour de France e a chiudere il Giro d’Italia tra i primi venti. A partire dagli anni Novanta, con l’indipendenza della Slovenia, il professionismo diventa finalmente il logico approdo per i migliori ciclisti di Lubiana e dintorni. Tra i nomi di quegli anni ricorderemo Andrej Hauptman (oggi uno dei direttori sportivi di Pogacar in seno all’UAE Team Emirates), primo sloveno sul podio del Mondiale professionisti su strada, con il bronzo conquistato a Lisbona nel 2001. Tre anni prima, nel 1998, Zoran Klemencic aveva invece portato in Slovenia il primo oro europeo, tra gli Under 23. Per la prima maglia iridata, invece, bisognerà attendere il 2004, con la vittoria di Janez Brajkovic nel campionato del mondo a cronometro Under 23 a Verona. Manca ancora un exploit alle Olimpiadi, tanto che il miglior risultato rimane ancora l’ottavo posto di Roma nel 1960, di una delle leggende del ciclismo sloveno, Janez Zirovnik.
Ma oltre a quelli citati, non possiamo non ricordare fior fior di corridori che nel nuovo millennio si sono fatti apprezzare a livello professionistico, come – in ordine di età – Uroš Murn, Tadej Valjavec, Martin Derganc, Borut Bozic, Matej Mugerli, Grega Bole, Simon Spilak, Luka Mezgec, Jan Tratnik, Jan Polanc e Matej Mohorcic.
Era perciò solo questione di tempo che anche nel ciclismo, come già accaduto in altri sport, la Slovenia sfornasse il grande campione. Pensiamo ad una fuoriclasse assoluta dello sci alpino come Tina Maze, 2 ori olimpici e 4 mondiali, ai due canottieri campioni olimpici e pluricampioni mondiali Luka Spik e Iztok Cop, alla giovane stella NBA Luka Doncic, ma anche – andando allo sport più popolare nel nostro Paese, il calcio – a due portieri di livello assoluto come Jan Oblak (Atletico Madrid) e Samir Handanovic (Inter). E andando indietro nel tempo, con riferimento allo sport di cui su RdO Sport si parla più di frequente, il tennis, anche al primo e unico Slam in singolare conquistato dalla Jugoslavia, che fu appannaggio proprio di una tennista slovena, Mima Jausovec, vincitrice del Roland Garros nel 1977 (e poi di nuovo finalista nel 1978 e nel 1983).
Ed ecco che di campioni ne sono arrivati addirittura due, Roglic e Pogacar. E chissà che il Tour 2020 non rappresenti l’inizio di una entusiasmante rivalità tra i due connazionali, di quelle che nel corso degli anni hanno spesso caratterizzato il ciclismo e permesso di scrivere bellissime pagine di questo sport. Come quella leggendaria tra Coppi e Bartali o quella, rimanendo in Italia, tra Saronni e Moser, o ancora quella tutta francese tra Fignon e Hinault. Lo scopriremo presto, anche se non al Giro d’Italia di quest’anno, troppo vicino al Tour (inizia il prossimo 3 ottobre) per permettere ai due di presentarsi in condizioni adeguate per puntare alla vittoria.
Ma la sfida tutta slovena sembra proprio appena cominciata. Chi l’avrebbe immaginato trentaquattro anni fa, nel 1986, quando Primoz Cerin si classificò al 32esimo posto, primo sloveno al Tour de France?