LA BELLE EPOQUE SU DUE RUOTE
di Barbara Meletto (barbarainwonderlart.com)
L’invenzione della ruota è antica quanto l’uomo, ma la bicicletta ha una storia molto più recente.
La bicicletta, così come la conosciamo noi oggi, è il risultato di varie fasi evolutive che si sono succedute nel corso del tempo, anche se la sua ideazione si deve nientemeno che al genio italico.
Nel “Codice Atlantico” è presente un disegno di Leonardo da Vinci, datato 1493, dove compare lo schizzo di un mezzo del tutto simile ad una bicicletta, corredato di pedali, catena e mozzi.
Fu comunque durante la belle époque che la bicicletta conobbe la sua stagione più felice, complici le innovazioni tecnologiche e il diffuso entusiamo generato dallo sport nella nuova classe borghese.
Nel 1896, con l’organizzazione dei Giochi moderni ad Atene, rifiorì la tradizione olimpica e varie discipline sportive, tra le quali il ciclismo, provvidero a darsi delle regole e ad organizzarsi in federazioni.
In Francia il ciclismo ebbe un grandissimo successo; mezzo democratico per eccellenza, la bicicletta si prestava ad essere un agile mezzo di trasporto, un prezioso aiuto per il lavoro e anche un nuovo strumento da competizione.
La terra gallica vide un proliferare di riviste specializzate che si dedicarono anche all’allestimento di importanti eventi ciclistici: dal Gran Premio di Amiens nel 1865, la prima gara a grande partecipazione, alla Parigi-Rouen nel 1869, la prima sfida su strada, fino ad arrivare al primo Tour de France nel 1903.
Lotta, fatica, libertà, velocità erano i caratteri distintivi di questa specialità, perfettamente in linea con lo spirito della modernità.
HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC E LA BICICLETTA
Nell’atmosfera scintillante della Parigi di fine secolo, si aggirava Henri de Toulouse-Lautrec, uno dei più grandi cantori della vita contemporanea.
L’ultimo erede dei conti di Toulouse, con le gambe corte, il corpo sgraziato e deforme, non poteva assolutamente essere associato all’idea di sport, ed invece, nonostante le sue difficoltà fisiche, egli amava andare in bicicletta ed era un grande frequentatore del velodromo.
A quel tempo i velodromi erano dei luoghi dove si andava non solo, e non principalmente, per assistere ad eventi sportivi: vi ci si recava per intessere relazioni, per vedere e per essere visti. Ogni classe sociale aveva il suo velodromo preferito, quello con l’ambiente più adatto alle proprie esigenze.
Assiduo frequentatore dei cabaret di Montmartre durante la notte, di giorno Toulouse-Lautrec era un abitué del Vélodrome Buffalo, quello in cui si parlava, si rideva, si amoreggiava e si beveva tutto ciò che era a disposizione, fino a quando le ombre della sera riportavano la festa alla periferia di Pigalle.
Inaugurato nel 1893, il Buffalo era stato finanziato da Clovis Clerc, il proprietario de le Folies Bergères, e dal 1895 era diretto da Tristan Bernard, grande amico di Lautrec, avvocato per studi, poeta per diletto, romanziere passabile e discreto drammaturgo. Fu proprio quest’ultimo ad introdurre l’artista nel mondo del ciclismo e a fare del velodromo il fulcro della bohéme parigina.
Da questa sua passione nacquero numerosi schizzi, disegni e dipinti, aventi per soggetto i ciclisti, attratto com’era dalla plasticità del corpo in movimento, ma anche dagli odori, dai suoni e dall’atmosfera dello spettacolo che vi si svolgeva.
L’OPERA
Nel 1896 venne chiesto a Toulouse-Lautrec di realizzare una litografia per pubblicizzare la nuova catena da bicicletta progettata da William Spears Simpson.
“La Chaîne Simpson”, questo il titolo dell’opera, mostra il campione francese Costant Huret accompagnato, in una gara su pista, dal “gladiator tandem”. Con il suo stile rapido e nervoso, Lautrec non solo ritrasse una scena alla quale aveva certamente potuto assistere, ma si spinse oltre fornendoci una preziosa testimonianza culturale. Il secondo ciclista sul tandem è infatti una donna Amélie Le Gall, più comunemente nota come Lisette Marton o Madamoiselle Lisette.
Campionessa europea e atleta sponsorizzata dalla Simpson, Lisette sfodera una tenuta assai azzardata, ossia dei pantaloncini. In un’epoca in cui una signora perbene non avrebbe mai osato pronunciare la parola “pantaloni” e, se proprio vi era costretta, optava per “l’indumento delle gambe” o meglio ancora “gli innominabili”, la sua mise era fonte di grande scandalo e suscitava più commenti rispetto alle sue performance sportive: “in Francia Lisette non indossa mai un vestito”, tuonava la stampa internazionale, alludendo al suo abbigliamento mascolino, brutto e, secondo molti, additittura anti-igienico.
Il poster di Toulouse-Lautrec intende ribaltare gli stereotipi, sfidando l’opinione della morale comune: una réclame che intende promuovere molto di più di una catena da bicicletta. Uno scorcio di parità, indipendenza e coraggio in grande anticipo sui tempi.